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     Ponte Umberto-Margherita.

 

BREVI NOTIZIE SUL PONTE UMBERTO-MARGHERITA SUL VOLTURNO

Di Mario Fabrizio

 

 

a) Il ponte Margherita.

Chi da Napoli vuol raggiugere il Matese, percorrendo la SS. 158, deve necessariamente attraversare il fiume Volturno nei pressi di Dragoni, piccolo centro agricolo in provincia di Caserta.

La statale, dopo aver percorso un tratto rettilineo lungo circa un chilometro tutto in discesa, svirgola improvvisamente a sinistra descrivendo una curva secca, quasi ad angolo retto, e si immette su di un comodo ed ampio ponte, che, congiungendo le due opposte rive del fiume, mette in comunicazione l’agro di Dragoni con quello di Alife: è il ponte Margherita.

La denominazione attuale è popolana e venne adottata, nell’uso comune, in sostituzione di quella originaria di ponte «Umberto-Margherita», perché più comoda e breve.

L’opera ha un aspetto maestoso e solenne. Si tratta di un ponte costruito con blocchi di cemento armato che poggiano su robusti e saldi pilastri. Esso è lungo m 143,70 ed è largo m 11,10. È un ponte a sei luci ed è il 289° della statale.

Delle sei arcate però solo quattro hanno la funzione di attraversare stabilmente il letto del fiume, le altre due servono solo in caso di piena mentre due mezze arcate servono a colmare il dislivello che l’opera viene necessariamente a creare nonché ad attaccarla alla due rive.

I blocchi di cemento armato sono stati montati a forbice e descrivono ampie arcate per consentire il facile deflusso delle acque in caso di piogge abbondanti.

I pilastri invece sono costruiti in pietra viva e poggiano, alla base su rostri che hanno la forma di un esagono irregolare.

La carreggiata, ai due lati, è costeggiata da due piccole banchine larghe circa un metro e sopraelevate, rispetto al piano stradale, di 25 centimetri. L’affaccio è consentito e protetto da una ringhiera alta cm. 90, che è composta da 110 riquadri, oltre i due finali, di forma rettangolare.

L’attuale ponte però non è quello originario. Il primo, che si trovava leggermente più a monte, venne minato e fatto saltare dai Tedeschi, in ritirata, la sera del 18 ottobre 1943.

Molti ancora se ne ricordano. Erano le diciotto e quarantatre. Il sole era ormai tramontato e la giornata era stata particolarmente terribile. Molti civili erano stati inviati a Cassino e molte case bruciate. Si sentì un boato, molti guardarono nella pianura verso il fiume e videro una grande nuvola di polvere levarsi. Ciò che non erano riuscito a fare gli Alleati per molto tempo con i bombardamenti i Tedeschi fecero in un attimo. Restò in piedi una sola arcata, verso Alife, mentre tutte le altre erano saltate in aria.

I Tedeschi, in verità, avevano minato, allo scopo di ostruire o interrompere la strada, anche altre costruzioni tra cui il bel campanile della Chiesa della SS. Annunziata. Fu il temerario coraggio e la spericolatezza di un uomo del popolo, tal Di Matteo Giuseppe, che doveva poi rimanere vittima civile, a disinnescare la miccia ed a salvare l’opera che ancor oggi possiamo ammirare.

Il ponte Margherita, attuale, venne ricostruito dall’ANAS nel 1953. L’appalto fu appannaggio dell’impresa Del Vecchio di Napoli che vi impiegò circa due anni.

Durante il periodo che va dalla distruzione alla ricostruzione e cioè dal 1943 al 1953 il fiume veniva attraversato con zattere e scafe, la cui spesa era a carico dell’Amministrazione Provinciale di Caserta e, successivamente, mediante una passerella costituita da travate metalliche poggiate su palafitte in cemento, costruita a cura del Genio Civile di Caserta.

Il traghetto, che funzionò fino al 14-2-47 in quanto il giorno successivo entrò in funzione la passerella, era consentito, per motivi di sicurezza, dalle ore 05,00 fino alle 22,00 per una portata massima di 20 q.li. In un primo momento il pedaggio fu a carico dei privati e le ditte che ne ebbero la gestione furono: Falco Giuseppe da Amorosi, Salzillo Sisto da Ruviano e Donato Gioacchino da Castelcampagnano.

Il ponte Margherita attraversa il Volturno nel suo corso medio ove la natura del fiume assume carattere torrentizio in caso di piogge e passa quasi alla fase di sedimentazione in caso di secca prolungata.

 

 

b) Precedenti storici del periodo romano.

Sia a monte che a valle di detto ponte, ad una distanza pressoché uguale, esistono i ruderi di due antichissimi ponti di origine romana.

Verso Ovest, verso cioè la parte alta del corso del Volturno, e più precisamente tra gli attuali comuni di Baia Latina e di S. Angelo d’Alife, vi sono i ruderi del ponte «Oliferno», detto dal volgo «u ‘nfierno».

Più a valle invece, in tenimento del comune di Alvignano si trovano i ruderi del ponte degli «Anici» anch’esso di origine romana.

Questi due ponti mettevano in comunicazione quel ramo della Via Latina che da Teano, attraverso tutta la valle del Medio Volturno, passante per Alife e per Telese, menava a Benevento, con l’altra sponda del fiume, sulla quale fiorivano le antichissime città osche, poi sannite ed infine romane di Trebula Baliniense e, forse, Saticola, tra i monti, e di Compulteria nella pianura.

 

 

c) Le «scafe», i «londri», i guadi.

Caduti i ponti romani, il fiume, in età più recente, veniva attraversato normalmente con «scafe» e «londri», sorte di rudimentali imbarcazioni, ed in qualche posto anche a guado.

La scafa era una specie di zattera guidata da due cavi attaccati alle rive e lungo i quali scorreva da una sponda all’altra; essa aveva un sito fisso, era posta in un punto ove la corrente era più debole ed il suo esercizio era disciplinato da un regolamento.

Il londro, che dovrebbe essere sostantivo di genere femminile, è invece un’imbarcazione più piccola, libera e di facile maneggio. Serve sia per attraversare che per risalire o discendere il corso del fiume. Ancora oggi i pescatori del luogo se ne servono nel loro lavoro.

A Dragoni vi fu una scafa al di sotto dell’attuale masseria delle «Pezze-Longhe» nel luogo ancor oggi detto della «scafa vecchia», ed un’altra, che probabilmente sostituì la prima, al di sopra, ma di poco, del ponte, detta «scafa Giusti», forse perché proprietà di una famiglia di tal nome.

Di ponti in tutta la vallata ve ne erano solo due: quello «Reale» presso Venafro e quello di «Maria Cristina», costruito nel 1835, presso Solopaca sul Calore.

Fin dai primi decenni del secolo scorso però cominciò a farsi strada sia tra le popolazioni del Circondario, sia tra le autorità locali e centrali, l’idea della necessità di un ponte sul Volturno che mettesse in stabile comunicazione le due sponde della vallata. L’idea era geniale ed affascinante, ma, come spesso suole accadere in simili circostanze, tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare.

Qui occorre dire qualcosa sulla regia strada di Piedimonte.

 

 

d) La regia strada di Piedimonte.

Il quadro della viabilità, nel secolo scorso, non era quello attuale. Tutta la vallata era collegta con il capoluogo per mezzo di una strada regia mantenuta dall’erario regio e perciò di regio conto. Essa era detta anche regia strada di Piedimonte e si divideva in due tratti: il primo fino al piè della salita dei Gradilli ed il secondo dalla salita dei Gradilli fino a Piedimonte.

Il secondo tratto, che è poi quello che ci interessa, a sua volta si divideva in due parti: la prima, di gran lunga più importante e di maggiore dimensione, iniziava al piè dei Gradilli e terminava in Alife; la seconda andava dal bivio di Alife al basolato di Piedimonte. Quest’ultima parte era detta anche stradone per Piedimonte.

Il secondo tratto della strada di regio conto di Piedimonte iniziava al 17° miglio e terminava al 33°. Il tracciato di detta strada toccava l’agro di Caserta, di Castel Morrone, Piana di Caiazzo, Alvignano, Alife, S. Potito e Piedimonte; non toccava Dragoni, né l’abitato di Alvignano, che vi era congiunto tramite una traversa confluente in località «Taverna Vecchia». Dragoni vi era allacciato tramite la via S. Ferdinando, ancora oggi esistente e che conserva la sua struttura originaria.

Queste notizie si ricavano da un progetto di ratizzo del 19 giugno 1812 della spesa di 5.000 ducati pari a circa 22.000 lire dell’epoca, occorrenti per la sistemazione della strada da Caserta a Piedimonte.

In esso Dragoni figura fra i comuni il cui territorio cade nella distanza di tre miglia dalla detta strada.

Per effetto del suddetto ratizzo a Dragoni, che contava 1.562 abitanti, sarebbe spettato il pagamento di 52 ducati e 6 grani.

Il tracciato di detta strada si differenziava dall’attuale al 26° miglio. Ivi, giunti in località Villa Ortensia, nei pressi del Vallone «Scazzano», deviava attraverso le campagne di Alvignano fino al Volturno e qui, attraversato il fiume nei pressi dei ruderi del ponte degli Anici, al miglio 28° mediante la scafa Laurenzana, raggiungeva il bivio di Alife, donde si dipartiva il bivio per Piedimonte.

Questo tratto era lungo 17 miglia e 3.480 palmi, pari a km 32 e 453 metri.

Per effetto della costruzione di tre strade di accesso alla scafa Laurenzana la strada divenne leggermente più lunga come rilevasi dal verbale di appalto per il mantenimento del 10 aprile 1868.

Detta strada era tenuta da imprese specializzate per l’importo annuo ammontante a 2.490 ducati nel 1834. La carreggiata aveva una larghezza quasi costante di 17 palmi pari a m 4,44. Ai due lati vi erano i passatoi, sorte di rudimentali marciapiedi, e, oltre, i fossi di scolo per le acque meteoriche.

Tra i patti e le condizioni di appalto, come risulta dal contratto stipulato dal notaio Raffaele Pezzella di Caserta in data 2 giugno 1847, vi era il seguente: «l’appaltatore dovrà tenere sulla strada tre operai stazionari (cantonieri), giusta i prescritti dell’art. 39, distribuiti nel modo seguente: uno dai piedi della detta discesa (dei Gradilli) fino a Caiazzo, l’altro da Caiazzo alla scafa Laurenzana ed il terzo da questo sito ad andare verso Alife e Piedimonte».

Il detto percorso, come è facile accorgersi, tagliava nettamente fuori dal commercio e dal traffico Caserta-Piedimonte, non solo Alvignano che bene o male vi era collegato con una traversa confluente, come si è detto, in località «Taverna vecchia», ma anche e soprattutto Dragoni.

Nel 1866 venne realizzato un progetto di raccordo tra la regia strada di Piedimonte, che nel frattempo per le mutate condizioni politiche era diventata strada provinciale, con Pietramelara. Detto raccordo iniziava in località Villa Ortensia e dopo aver attraversato Alvignano, Dragoni, Baia Latina raggiungeva Pietramelara.

Con deliberazione del 27 ottobre 1868, a richiesta del consigliere provinciale Ventriglia, mutate le condizioni, il tratto di strada da Villa Ortensia per la scafa Laurenzana al bivio di Alife, veniva escluso dal novero delle strade provinciali ed in esso veniva invece compreso il tratto Villa Ortensia Alvignano, Dragnoi, ponte Umberto-Margherita fino al bivio di Alife.

Le altre strade erano tutte o comunali o vicinali.

 

 

e) Vari progetti 1841 – 1848 – 1862.

Cercheremo ora di ricostruire storicamente come si svolsero i fatti che portarono alla costruzione del ponte «Umberto Margherita».

La promessa della costruzione di un ponte sul Volturno nella vallata è del 1841 ed è fatta dal Re in persona.

Il 17 aprile di quell’anno il re Ferdinando II si recò a Piedimonte per visitare la filanda del sig. Gian Giacomo Egg, industriale straniero trapiantatosi in queste zone.

Il re rimase molto contento dei lavori e dell’organizzazione; consumò la colazione presso l’abitazione del sig.Egg al quale, prima di accomiatarsi, disse di chiedergli una grazia.

Il sagace industriale, che vedeva molto limitato e condizionato il suo commercio, gli chiese che venisse costruito un ponte sul Volturno nella vallata in modo da evitare le ingenti spese e la perdita di tempo per la scafa. Il Re apprezzò la richiesta e rispose «Ti sia concesso». In quel momento pochi credettero che quella promessa si sarebbe realizzata subito eppure il seme gettato, forse con poca convinzione, attecchì e vivificò tanto che con Reale Rescritto del 12 giugno 1841 venne decretata la costruzione di un ponte a catene sul fiume Volturno per mettere in comunicazione le due sponde della pianura.

Il Reale Rescritto però non determinava il punto dove doveva essere costruito il ponte per cui nascono due fazioni tra di loro contrastanti ed opposte.

Il fatto in un primo momento non sembrava vero ed al primo stupore successe l’interesse e la convinzione di non lasciarsi sfuggire l’occasione perché tale opera sorgesse nel punto ove le diverse forze ritenevano più giusto e più opportuno nell’interesse della collettività.

La scelta del sito devette scatenare una lotta senza quartiere tra le varie forze politiche ed economiche che non si risparmiarono colpi, ma alla fine trionfò la migliore soluzione.

Già la costruzione di un ponte avrebbe limitato grandemente il prestigio e l’interesse del proprietario della scafa che vedva di mal occhio il sorgere di una tale opera ma il fatto poi che essa potesse sorgere in un sito diverso da dove si trovava la scafa era un copo che non si poteva sopportare. Eppure le cose andarono proprio così.

Le difficoltà per al scelta del sito erano numerose e gravi e già in fase di progettazione si presentavano di difficile soluzione.

In verità trattandosi di un fiume dal corso quanto mai instabile e mutevole, donde forse anche l’origine del suo nome, la costruzione di una stabile opera muraria presentava numerosi rischi sia di natura tecnica che finanziaria.

La scelta del sito era problematica e le due correnti, che si erano formate, subito si polarizzarono la prima intorno agli interessi della casa dei Laurenzani e al seconda, che appoggiava le richieste di quelle popolazioni del Circondario escluse dalle facili comunicazioni e che vedevano dalla realizzazione di una tale opera la possibilità di dare spazio al loro commercio e vita al loro lavoro, intorno alla pubblica utilità.

La regia strada attraversava il Volturno in località scafa Laurenzana. C’era quindi la prima tesi che voleva la costruzione del ponte il quel sito inquanto, si diceva, non sarebba stata necessaria altra strada di raccordo con la via principale. Ma il sito non si prestava alla bisogna in quanto sia la sponda destra che la sponda sinistra erano molto basse, la sezione del fiume molto ampia e la natura del terreno inadatta a sostenere il peso dell’opera.

A parte poi la spesa enorme da affrontare la scelta risultava inopportuna, rischiosa ed impossibile per cui si proponeva altro sito, più a monte, che però avrebbe comportato la costruzione di una strada di raccordo, idoneo a soddisfare le esigenze delle popolazioni del Circondario, tecnicamente più sicuro e meno dispendioso.

I fautori della prima tesi avevano dalla loro parte sia il potere economico che, in un primo tempo, quello politico; erano sicuri di spuntarla e si limitavano a controllare le mosse ed i passi degli Organi Tecnici. Gli altri avevano dalla loro parte solamente le buone ragioni.

L’Amministrazione Comunale di Dragoni che, per ovvi motivi, era favorevole alla seconda corrente, mal vedeva sfumare una così importante occasione per immettersi più facilmente nel flusso delle comunicazioni e della viabilità, per cui con delibera del 27 settembre 1842, allo scopo di orientare gli Organi Tecnici, a ciò preposti, indica più siti in tenimento comunale idonei alla costruzione dell’opera e promette forti somme per la costruzione della strada di raccordo.

La deliberazione risente molto della psicologia politica ed ambientale del momento. Dalla lettura dell’atto il paese appare in forte fermento e tutto proteso ad ottenere il suo scopo. La stesura dell’atto dovette richiedre tempo, riflessione e studio. Accanto infatti a motivi concreti e reali fanno capolino cavilli e pretesti. Ne riassumo il contenuto: «Non è opportuno costruire il ponte in località scafa Laurenzana non solo perché i tecnici lo ritengono impossibile ma anche perché si obbligherebbe il viaggiatore a percorrere oltre tre miglia attraverso disabitate e boscose campagne infestate da briganti e fuorilegge; sarà opportuno invece costruirlo in tenimento del comune di Dragoni, in uno qualsiasi dei siti indicati, sia perché detti siti si presentano idonei all’opera, sia perché le popolazioni del Circondario possono raggiungere più facilmente Piedimonte seguendo un percorso più breve, sia perché si percorrerebbe il tratto di strada tra centri abitati e ubertose campagne, sia perché si rispetterebbe in tal modola volonta del defunto sovrano Ferdinando I il quale aveva fatto progettare una strada in tal senso da Dragoni a Piedimonte ma il progetto non era stato realizzato per l’improvvisa morte del sovrano.

Il Comune poi, nel caso la sua proposta dovesse essere accettata, essendo stato autorizzato alla vendita di alcuni boschi, è disposto ad operare uno storno da tal ricavato per la costruzione, nel suo territorio, di una strada di raccordo tra il ponte e la regia strada già esistente».

Tale delibera sembrava aver colto nel segno e subito venne spedita dal Sottointendente di Piedimonte all’Intendente di Terra di Lavoro con ufficio dell’8 ottobre 1842.

Tutti i problemi sembravano risolti ed il fatto venica dato per scontato. Molti si rallegrarono di tale proposta, ma non tutti evidentemente. La corrente contraria vedeva con essa frustrati i propri desideri, annullati i progetti ed in pericolo interessi, subito corse ai ripari ed i risultati non mancarono.

Vi fu infatti un improvviso quanto ingiustificato rovesciamento di fronte. Molti furono i tradimenti né dovette mancare il ricatto. Il Decurionato di Dragoni, come allora era chiamata l’Amministrazione Comunale, improvvisamente, rimangiandosi quanto aveva prima deliberato ed operando una repentina inversione di marcia, chiede con novella deliberazione del 12 marzo 1843, che la delibera del settembre scorso venisse annullata e non presa in nessuna considerazione trovandosi il Comune nella più assoluta impossibilità di fra fronte alla spesa per la promessa costruzione della strada, che la deliberazione era stata estorta da forestieri e che la decisione non era stata ben vagliata.

L’incarico di non far approvare la prima delibera venne affidato al canonico Michele Bianchi; titolare della cattedra di letteratura italiana presso l’Università di Napoli e confessore privato della Regina.

Il passo in avanti che si era fatto con la delibera del settembre 1842 era stato controbilanciato dalla nuova decisione con due passi indietro. La tesi dei Laurenzani progrediva, raccoglieva nuovi adepti proprio nel covo degli avversari e sembrava aver via libera.

A Dragoni, il paese era quasi piombato nel lutto cittadino, i rappresentanti del Decurionato mordevano il freno ma sotto sotto scalcitravano. Essi dovettero ingoiare il rospo ma il fuoco bruciava sotto la cenere.

Intanto le lingue si erano ingarbugliate con sommo piacere di chi operava da dietro le quinte.

L’Intendente della Provincia però d’accordo con il Ministro della Reale Segreteria di Stato nominò una commissione composta di due rappresentanti della Deputazione Provinciale ed uno del Corpo degli Ingegneri. Essi furono i sigg.: Francesco Saverio Campagnano, Fancesco Sartorio e l’ing. Tommaso Tenore. La Commissione doveva rispondere a tre domande precise: la prima se era possibile, nella vallata, la costruzione di un ponte a catene; la seconda quale era il sito migliore per la realizzazione di una tale opera ed infine la spesa occorrente.

La Commissione si recò sul posto e lavorava con solerzia ed alacrità eppure si esprimeva con cautela e circospezione per evitare evidentemente di urtare la suscettibilità di personaggi molto in vista.

Il verbale di sopralluogo, fatto inpresenza dei Decurioni di Dragoni, i quali di tanti siti ne indicano uno solo ed il meno adatto, è del giugno 1843.

La Commissione risponde subito alla prima domanda scartando senz’altro la possibilità di costruire un ponte a catene. In nessun posto il fiume presenta ripe solide ed alte ed un letto stretto e profondo. La riva destra è per lo più alta e solida ma la sinistra è bassa e facilmente mutevole.

Viene allora prospettata la possibilità della costruzione di unponte a travate di tavole su pile di muratura.

Per tale opera il sito indicato dal Decurionato di Dragoni non è idoneo.

Di sua iniziativa allora la Commissione percorre il corso del fiume alla ricerca di un sito idoneo e ne trova due: uno in tenimento dello stesso comune inlocalità «Molino Vernelle» e l’altro in località «Scafa Laurenzana».

Quanta ipocrisia però ed opportunismo.

Si cerca di salvare capre e cavoli scaricando su altri la responsabilità della decisione.

Appare evidente da una lettura anche sommaria del verbale che il sito viene suggerito più per far piacere a qualche potente personaggio che per reale convinzione tecnica; si aggiunge subito infatti che il primo è migliore del secondo e che quest’ultimo presenta numerosi inconvenienti di natura tecnica ed è più dispendioso nonostante per l’altro occorra costruire una strada di raccordo di circa sei miglia.

Ancora una volta sembrava ormai fatta. Il paese era di nuovo in movimento. Da una parte si gioiva per lo scampato pericolo e dall’altra ci si rallegrava per l’utilità che ne sarebbe derivata dall’opera.

Si vegliava alacremente per evitare colpi mancini e nascoste manovre.

Qualcuno però tramava di nascosto e se ne ebbe sentore tanto che il sindaco dell’epoca Campaiano scriveva all’Intendente per denunciare manovre oscure. La lettera è del 23 giugno 1846. L’intendente subito si premura di chiedere spiegazioni al Direttore del Corpo degli Ingegneri incaricato di redigere il progetto ing. Tenore, il quale rassicurò il normale svolgimento delle operazioni giustificandosi che le ricerche geodetiche andavano fatte in più punti per sceglierne poi il migliore.

Alle risposte della Commissione segue l’incarico formale ed il progetto viene presentato per l’approvazione il 7 giugno 1848. Viene redatto, oltre che dall’Ing. Tenore anche dall’arch. Ettore Capocelatro. La spesa preventiva è di 42.000 ducati così ripartiti: 18.700 per la costruzione del ponte; 19.200 per la costruzione dei due rami di strada per accedervi e 4.000 per l’espropriazione dei fondi.

Il sito prescelto è la località molino Vernelle, intermedio tra la scafa Laurenzana e la scafa Giusti, e più precisamente 660 palmi al di sopra della confluenza del Torano nel fiume Volturno.

Il sistema di costruzione prescelto era quello dell’americano ing. Town consistente nella congegnazione di vari graticolati di legname appoggiati sopra pile di fabbrica.

Il ponte avrebbe avuto una lunghezza di 673 palmi da dividersi in sette luci.

Nella seduta del 7 giugno 1848 il progetto ed il sito vennero approvati e l’importo venne elevato a 43.960 ducati dal Re in persona che vi apportò piccole modifiche.

La notizia venne comunicata all’Intendente con nota del 22 luglio 1848.

La decisione aveva salvato capre e cavoli. Non vi erano stati né vinti cé vincitori. Tutti erano apparentemente contenti e si aspettava solo la realizzazione del progetto.

Intanto il tempo passava ed il progetto, nonostante fosse stato approvato, rimaneva lettera morta, non veniva posto in esecuzione: ufficialmente si diceva per mancanza di fondi ma il motivo vero doveva essere il fatto che il sito prescelto non a tutti era gradito e si aspettava il momento opportuno per capovolgere la situazione.

L’Italia, nel frattempo, combatteva le sue guerre di indipendenza ed il 1860 vedeva i cittadini di Dragoni schierati per casa Savoria ed in attesa del biondo Generale di Nizza.

Le esigenze, con il passare del tempo, si erano moltiplicate e l’esecuzione di un’opera tanto importante era dettata e sollecitata anche da necessità obbiettive di varia natura, non ultima il completo isolamento in cui veniva a trovarsi la zona sinistra in caso di piena del fiume.

In tali circostanze infatti, e queste poi non dovevano essere infrequenti soprattutto nel periodo delle piogge, le scafe non funzionavano ed i londri se non erano saldamente attaccati alla riva, venivano trascinati dalla corrente e facilmente distrutti.

Oggi il Volturno, nella zona che ci interessa, ha una portata d’acqua quasi irrisoria, ma nel secolo scorso, quando le sue acque non erano state ancora captate per l’irrigazione e per altri usi, la portata abituale del fiume era di gran lunga maggiore.

La mancanza di un ponte, in caso di piene anche ordinarie, non solo rallentava l’attività commerciale, ma ancora bloccava i contatti postali, rendeva inefficace l’ordine pubblico, allentava i rapporti familiari, annullava l’efficacia dei soccorsi sanitari.

L’attenzione della maggior parte degli italiani era in quel periodo polarizzta intorno agli avvenimenti politici nazionali e solo qualcuno ancora si ricordava e parlava della lontana promessa del borbone, del progetto approvato e mai realizzato. Aleggiava però sempre nell’ariala minaccia di chi aveva voce in capitolo e poteva ancora dire la sua.

Fu così che, come un fulmine a ciel sereno, giunse la notizia che con legge speciale del 28 settembre 1862 n. 1.089 venne stanziata la spesa di L. 653.000 per la costruzione di un ponte sul Volturno in località scafa Laurenziana.

La notizia colse tutti di sorpresa. Vi fu sgomento e sfiducia da parte della popolazione.

I lavori vennero appaltati e l’impresa aggiudicatrice fu Martire Gaetano, il prezzo di aggiudicazione L. 443.365; il contratto venne stipulato il 4 agosto 1863.

I lavori ebbero subito inizio, ma come ebbe a dire il consigliere provinciale, Giulio Iacobelli di Alvignano, «iniziarono maledetti da Dio e dagli uomini».

Alle prime difficoltà di carattere tecnico, già previste in fase di progettazione ma moltiplicatesi in fase di realizzazione, se ne aggiunsero altre di natura finanziaria.

Ad un primo accollo di spese ne seguì un secondo e poi un terzo. I lavori invece ristagnavano. Infine disperati si desistette.

Era impossibile, con i mezzi a disposizione della tecnica dell’epoca, realizzare il ponte in località scafa Laurenzana. Molte migliaia di lire vennero perdute, l’appaltatore reclamò il pagamento delle opere eseguite chiedendo la nomina di un arbitro per la valutazione dei lavori già fatti. Il pagamento venne effettuato in cambio di niente ed il pubblico danaro buttato all’aria.

Intanto il sistema politico ed amministrativo era mutato. Al vecchio sistema era subentrato l’Ente autarchico territoriale Provincia. I politici, novelli tribuni nel mutato sistema elettorale, facevano sentire la loro voce di accusa e chiedevano che il sito venisse mutato. Anche i tecnici, sconfitti dalla realtà, non potevano non convenire di abbandonare il passo alla scafa Laurenzana per cercare altro sito.

I tempi finalmente sembravano maturi per il colpo di grazia. Da tutte le parti si guardava a Dragoni come all’unico giusto sito ove poter far sorgere un’opera tanto importante.

A questo punto poi un fatto nuovo, inatteso e provvidenziale venne a risvegliare le speranze, mai completamente sopite, delle popolazioni del Circondario ed a sconvolgere il programma precedente.

I lavori, fino a quel momento erano a carico del Governo e venivano eseguiti sotto la direzione dei suoi organi tecnici. Per effetto però della legge 1° luglio 1865 i detti lavori passarono a carico e sotto la direzione dell’Amministrazione Provinciale.

Questo fatto ebbe molta importanza ed influì decisamente sugli sviluppi successivi.

Ci furono giorni di febbrile attività, di promesse, di studio, di incoraggiamento, di attesa.

Ci si poteva rivolgere finalmente ad un organismo elettivo, controllato dal popolo e la richiesta era un sacrosanto diritto non un concessione.

Sbagliare in queste circostanze voleva poter significare non essere rieletti alla competizione successiva.

L’amministrazione Comunale di Dragoni, con a capo il Sindaco, faceva pressione perché lo spostamento venisse subito approvato ed i lavori iniziati, ma l’Amministrazione Provinciale prendeva tempo adducendo la scusa di mancanza di fondi per la costruzione della strada di raccordo con il sito indicato.

Il sindaco di Dragoni allora con nota del 16 settembre 1865 scrisse al Sottoprefetto di Piedimonte perché invitasse le Amministrazioni comunali interessate a votar somme in favore della Provincia per concorrere all’opera desiderata. E, non contento di ciò, subito riunì il Consiglio Comunale e all’unanimità venne approvata, sulla scorta di quella del 27 settembre 1842, una nuova deliberazione in data 23 settembre 1865 con la quale si promettevano forti somme, certamente al di sopra delle reali possibilità, alla Provincia. Vale la pena di trascriverne i punti salienti.

«Il Consiglio ad unanimità rinnova i voti perché il ponte sul Volturno sia trasferito dal punto della scafa Laurenzana, dove trovasi iniziato, in quello detto scafa Giusti o Limatozzi Pascarella, in tenimento di Dragoni, per essere questi due siti più centrali rispetto a tutta la popolazione del Circondario, più adatti a sì grande opera per ragioni idrauliche, meno costosi, come vien constatato da valenti architetti, e che offrono maggiore sicurtà ai passeggeri, trovandosi inaperta campagna e non in mezzo a boschi come alla scafa Laurenzana». «…E perché questo paese possa ottenere un tanto sospirato bene, il Consiglio delibera ad unanimità di offrire alla Provincia, da cui dipende tale opera, tutto il denaro bisognevole per costruirsi una strada, che da Dragoni, in linea retta, meni fino alla strada di Piedimonte, e precisamente fino alla crocevia o pioppeta».

«E per far fronte a tali spese il Consiglio propone: 1) la vendita del legname di tutti i boschi comunali, ciòè Palera, Trivolesca, Pergolaro, Conca, Filetti e Monticelli; 2) parte della rendita annuale sul Gran Libro; 3) e perché conosca il Consiglio quali beni si ripromette ogni cittadino dal ponte in Dragoni, senza esitazione promette il concorso di questa popolazione con volontarie suscrizioni; 4) da ultimo propone i centesimi addizionali».

Erano disposti a spogliarsi pur di vedere realizzata un’opera che potremmo oggi dire spettava loro di diritto.

La deliberazione ebbe un seguito e fu oggetto di una lunga lite tra il comune di Dragoni e l’Amministrazione Provinciale di Terra di Lavoro.

Intanto il Consiglio Provinciale nella tornata del 7 ottobre 1865, a relazione del sig. Giulio Jacobelli, consigliere provinciale del Circondario, ad unanimità di voti e senza tener presente l’offerta fatta dal Comune di Dragoni, ordinò finalmente il trasloco del ponte dalla scafa di Laurenzana alla scafa Giusti in Dragoni.

La relazione è la storia dettagliata dei fatti e degli eventi che precedettero quel momento e si concludeva sottoponendo ai consiglieri uno schema di deliberazione da approvare. Con questo atto formale dell’Amministrazione Provinciale finalmente lo spostamento del ponte era approvato. Le giuste aspirazioni delle popolazioni erano accolte. Il giovane Stato aveva fatto giustizia.

 

 

f) Il ponte «Umbero-Margherita».

A 25 ani dal Rescritto Reale si era ancora a punto e a da capo.

C’erano voluti 25 anni per trionfare e per questo la vittoria era più bella.

Dalla somma di aggiudicazione dei lavori all’impresa Martire l’Amministrazione Provinciale dovette sottrarne L. 199.335 per il pagamento dei lavori inutilmente seguiti la cui stima venne affidata all’arbitrato di una Commissione. La somma a disposizione per la costruzione del ponte e della strada di raccordo era di L. 244.000.

Assisteremo da questo momento ad un rapido evolversi degli eventi. Quando alle promesse seguono gli atti e poi i fatti e si lavora più che discutere e chiacchierare le opere subito si realizzano; mentre dove sono tanti galli a cantare il giorno ritarda sempre a spuntare.

La lotta e gli avvenimenti avevano infiacchito un po’ tutti per cui si cercava di realizzare più che discutere.

In data 7 ottobre 1865 il Consiglio Provinciale approvò il trasloco del ponte dalla scafa Laurenzana alla scafa Giusti in Dragoni e pochi giorni dopo subito venne dato incarico non formale all’ing. Giustino Fiocca, abitante al palazzo Caramanico in Via Chiatemone, 7 – Napoli, di redigere al più presto possibile un progetto sia per la costruzione del ponte che della strada di raccordo, con l’obbligo di contenere la spesa nei limiti insuperabili di L. 244.000.

In data 1° agosto 1866 l’Ing. Fiocca è in grado di presentare un progetto per la realizzazine delle opere.

Non è, come nei casi precedenti, un progetto minuzioso, dai calcoli centesimali, si tratta di un progetto di massima nel quale molto è lasciato alla discrezionalità tecnica del costruttore da decidere in fase di realizzazione. Il prezzo non supera di un centesimo quello indicato dalla committente provincia. Unita al progetto vi è anche una dichiarazione per la realizzazione dell’opera.

Nulla è previsto di preciso, nemmeno il numero degli archi, solo il sito ove dovrà sorgere l’opera.

Dopo cinque giorni dalla presentazione, l’Amministrazione Provinciale, nonostante il parere contrario del Genio Civile, approva il progetto ed il 13 agosto 1866, dinanzi al Notaio Pezzella di Caserta, viene firmato il contratto.

I tempi sono ormai maturi ed improcrastinabili. I lavori hanno subito inizio e si concluderanno, nonostante due inverni piovosissimi ed un’alluvione eccezionale, in poco più di due anni.

La tradizione vuole che molti cittadini di Dragoni prestarono la loro opera senza ricompensa.

L’Ing. Fiocca è continuamente sul posto e segue di persona i lavori durante i quali, allo scopo di venire incontro alle esigenze delle popolazioni, costruisce un ponte di tavole che viene spazzato via dall’alluvione della primavera del 1867. Ne ricostruisce un secondo che resta in funzione fino all’inaugurazione del ponte in muratura.

Per passare bisogna pagare un pedaggio uguale a quello occorrente per passare con la scafa ed il cui ricavato va metà all’impresa Fiocca e metà all’Amministrazione Provinciale.

Il 18 novembre 1868 l’opera è terminata e viene finalmente consegnata.

L’inaugurazione, in pompa magna, avviene qualche giorno dopo. Durante il corso dei lavori l’impresa ha tenuto una condotta professionale e tecnica esemplare costruendo anche numerose opere non previste dal contratto.

Dal verbale redatto all’atto della consegna per il mantenimento affidato all’impresa Francesco Lamanna del 26 novembre 1868 rileviamo alcuni dati tecnici.

La strada di raccordo inizia al di sotto del caseggiato della frazione Pantano di Dragoni e continua rettilinea fino al ponte. Dopo m. 2.265,40 incontra il nuovo ponte in fabbrica che è lungo m 123,90 e poi prosegue per Piedimonte toccando il bivio di Alife dopo m 3.805,90. Tutto il percorso risulta lungo m 6.195,20. La carreggiata ha una larghezza costante di m 4,23 mentre tutta la sezione stradale è di m 10,70. Due passeggiatoi ai lati di m 1,06 ciascuno più i fossi di scolo laterali

Diamo ora una sommaria descrizione del ponte così come si ricava dal verbale.

L’intera opera si divide in due parti: la prima detta principale l’altra detta secondaria.

Le luci sono sette, ma l’opera nel suo insieme risulta asimmetrica. In genere il numero degli archi è dispari in modo che possa corrisponderne uno al centro per il varco del filone della corrente, ma nel caso di specie quattro sono adibiti al superamento dell’alveo abituale del fiume e tre sono di emergenza per il caso di piogge abbondanti.

La lunghezza del ponte tra le testate dei parapetti è di m 91,75, tra le facce interne delle spalle è invece di m 79,66. La luce netta al piano d’imposta è di m 72,52; la corda degli archi dei primi due a destra è di m 18,26 e dei due a sinistra di m 18. Lo spessore delle pile al piano d’imposta è di m 2,38 mentre quello delle spalle è di m 3,98. I muri di accompagnamento presso le spalle destre sono lunghi m 4,13. La larghezza tra i fronti del ponte è di m 6,90. La saetta misura m 5,85. La larghezza tra i fronti del ponte è di m 0,79 mentre dei parapetti è di m 0,50, l’altezza di m 0,84; la larghezza dei marciapiedi di m 0,66, la loro altezza sul piano della carreggiata è di m 0,20. A difesa delle pile, a valle ed a monte, vi sono rostri a base semicircolare del diametro di m 2,12 e di altezza di m 4,00 con cappuccio a calotta sferica.

Garantiscono l’entrata al ponte sulla sponda destra due colonnette di carbonato calcareo. I rostri e cappucci delle pile, gli archivolti, la fascia di coronamento, i marciapiedi ed i passamani sopra i parapetti delle altre parti viste sono della stessa pietra grossolanamente squadrata.

A ridosso della spalla sinistra della parte principale ora descritta, con piano superiore inclinato vi sono tre luci succursali delle seguenti dimensioni: lunghezza tra la parte estrema della spalla destra e le testate dei parapetti m 32,15; corda degli archi m 7,95; larghezza tra i fronti m 6,90; spessore delle pile m 1,32; spessore della spalla sinistra m 2,00; lunghezza dei muri di accompagnamento m 3,40; altezza dei parapetti m 1. Lungo i parapetti vi sono sei paracarri centinati; la carreggiata è fiancheggiata da due cunette di scardoni calcarei larghe m 0,6. Le tre descritte arcate sono costruite in muratura ordinaria di pietrame calcareo.

Il 24 novembre 1868, con la partecipazione di tutte le autorità locali e provinciali avviene la solenne inaugurazione.

Ecco il verbale che venne redatto:

«Oggi che sono li ventiquattro del mese di novembre milleottocentosessantotto, nel sito detto Sauta Giusti, in tenimento del Comune di Dragoni, Circondario di Pieidmonte Provincia di Terra di Lavoro. Si sono conferiti l’Ill.mo sig. Prefetto della Provincia Cav. Giuseppe Colucci, Ufficiale dell’Ordine Mauriziano e della Corona d’Italia, il Cav. David Silvagni, consigliere delegato della Prefettura di questa provincia; la Deputazione Provinciale rappresentata dal Maggiore Generale della Guardia Nazionale Sig. Raffaele Cuccari di Capua, dal Marchese di Montanara Giuseppe Cocozza di Nola, dall’Ing. Arch. Sig. Giuseppe Santoro di S. Giovanni Incarico e dott. Annibale Sommola di Brusciano. Il Cav. Ubaldo Media sottoprefetto di Piedimonte e le rappresentanze municipali dei comuni di Piedimonte, Alvignano e Dragoni coi rispettivi Ufficiali delle Gaurdie Nazionali.

Alla presenza delle predette autorità si è inaugurato il nuovo ponte gittato sul Volturno nel sito sopracennato, costruito dal noto Ing. Cav. Giustino Fiocca a spese dell’Amministrazione Provinciale di Terra di Lavoro. Il suddetto ponte è della lunghezza di m 108, consta di quattro arcate della corda di m 18 ognuna, con la nuova ellittica volgarmente detta a manica di paniere avente la faccia di m 4 con tre archi succursali alla testata che guardano il quadrivio di Alife ognuna della quali di corda m 8 a forma semicircolare.

Dietro proposta del Sindaco di Dragoni Sig. Nicola De Pertis per ricordare la fausta coincidenza della felicissima venuta in queste provincie meridionali degli Illustrissimi Sposi Principe Umberto di Savoia ereditario della corona d’Italia e della Principessa Margherita di Savoia, al suddetto ponte è stato dato il nome di ponte “Umbero-Margherita”.

E per ricordare ai posteri la fausta ricorrenza si è deliberato apporre nel centro del ponte sul parapetto sopracorrente verso Alife una lapide in marmo così concepita

 

Ponte

Umbero-Margherita

24 Novembre 1868

 

Il che essendo stato da tutti unanimamente acclamato, l’Ill.mo Sig. Prefetto della Provincia ha mandato a un segretario del Consiglio Provinciale di redigere il presente verbale che resterà depositato nell’archivio provinciale.

Fatto, letto e pubblicato nel suddetto giorno mese ed anno». La lapide, che molti ancora ricordano, venne successivamente apposta e costò all’Amministrazione Provinciale L. 30.

Alla cerimonia vi fu grande concorso di popolo di tutto il Circondario con luminarie e festeggiamenti.

Finalmente dopo 27 anni dalla promessa fatta dal Re Ferdinando II, dopo lotte aspre ed accanite, dopo sconfitte e vittorie, dopo illusorie ed ingannevoli promesse non mantenute, tradimenti ed improvvisi rovesciamenti di fronte, il ponte era là a testimoniare tutti gli sforzi compiuti dall’Amministrazine Comunale di Dragoni.

Il ponte rimase in piedi per 75 anni e nel 1914 servì anche per il passaggio della ferrovia Napoli-Piedimonte.

 

 

Bibliografia.

FILIPPO TETI, Memoria in difesa del Comune di Dragoni.

DANTE MARROCCO, La guerra nel Medio Volturno nel 1943.

DANTE MARROCCO, Piedimonte.

ANNA MAZZARELLA, Cicerone nel Medio Volturno, ASMV, 1975.

MARIO FABRIZIO, Brevissime notizie sul marmo colorato di Dragoni, ASMV, 1975.

ABELE DE BLASIO, Guardia Sanframondi.

PASQUALE IADONE, Storia di Dragoni.

- Archivio dell’Amministrazione Provinciale di Caserta, fascicolo relativo al «traghetto del Volturno in località ponte Margherita».

- Archivio di Stato, Atti Amministrativi, Inv. 2°: 1200-1212; Inv. 3° 1243-1259; Inv. 4° 1667-1672; Intendenza di Terra di Lavoro, fasc. 58, 147, 149; Amministrazione Provinciale Uff. Tecnico: 23: Strada Provinciale di Piedimonte II tratto.

- Alcune notizie sono state raccolte anche dalla tradizione locale.

 

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